Breve storia della Fiom Cgil
La Federazione italiana operai metallurgici (Fiom) nasce a Livorno il 16 giugno 1901. Le sezioni presenti al congresso sono 40 (altre 18 quelle che avevano inviato la propria adesione), in rappresentanza di 18.000 iscritti.
Il sindacato metallurgico italiano, però, è già attivo alla fine dell’Ottocento. Nelle principali città industrializzate si formano sezioni operaie che iniziano a lottare per migliori condizioni di lavoro: minimo salariale, giornata lavorativa di otto ore, abolizione del cottimo e del lavoro notturno, parità retributiva uomo-donna, regolamentazione dell’apprendistato contro lo sfruttamento dei fanciulli. Il sindacalismo in Italia ha nelle sue radici un innegabile impegno politico e sociale che proviene dai tumultuosi eventi che caratterizzano il periodo storico e dall’adesione di molti agli ideali socialisti e rivoluzionari.
Nel 1898 nasce «Il Metallurgico», il giornale operaio che poi diventerà della Fiom e si forma il Comitato centrale di propaganda, l’organismo che lavorerà per la preparazione del Congresso costitutivo della federazione.
Mobilitazione e scioperi, repressione e violenza si alternano frequentemente fino al 1914, inizio della Prima guerra mondiale. In quell’anno, Bruno Buozzi, segretario della Fiom scrisse su «Il Metallurgico»: «A noi pare che il proletariato italiano abbia il dovere assoluto di lottare con ogni mezzo perché l’Italia si mantenga neutrale (…) è compito nostro intervenire per la pace e non per la guerra». Non è così, la situazione precipita e l’Italia entra in guerra il 24 maggio del 1915. Nel primo congresso dopo la guerra la Fiom conta 47.192 iscritti e 102 sezioni. Inizia la stagione della contrattazione collettiva. Il 20 febbraio 1919 si raggiunge un accordo con l’Associazione industriali di categoria che prevede la riduzione di orario a 8 ore giornaliere e 48 settimanali, il riconoscimento delle Commissioni interne e la loro istituzione in ogni fabbrica; la nomina di una Commissione per il miglioramento della legislazione sociale e di un’altra per studiare la riforma delle paghe e del carovita. Ma l’ala più oltranzista del padronato comincia a cercare la prova di forza contro gli operai e il sindacato. La trova nell’agosto del 1920 quando la trattativa per il miglioramento delle condizioni di vita dei metallurgici viene interrotta e cominciano le serrate. La risposta operaia si concretizza nell’occupazione delle fabbriche che coinvolge più di 400.000 metallurgici in tutta Italia e altri 100.000 di altre categorie. Momenti di tensione, alcuni dei quali sfociano in autentiche battaglie in cui si contano morti e feriti, precedono l’accordo del 19 settembre 1920. «Il Metallurgico» intitola a piena pagina: La vittoria del proletariato metallurgico. L’organizzazione padrona le debellata. I risultati parlano chiaro: il riconoscimento del controllo operaio nelle fabbriche, aumenti salariali, 6 giorni di ferie pagate, miglioramenti per gli straordinari e il lavoro notturno. Le fabbriche tornano alla normalità nei giorni seguenti ma al biennio rosso (1919-1920) segue l’avvento al potere del fascismo che porta rapidamente a un restringimento delle libertà, prima collettive e poi individuali, e poi alla messa fuorilegge dei sindacati e di ogni associazione. Molti sindacalisti vengono uccisi o messi in prigione. Si giunge alla Seconda guerra mondiale, e dopo anni difficili e diversi tentativi di azione gran parte del sindacalismo aderisce alla Resistenza e partecipa alla Liberazione dal nazismo e dal fascismo insieme alle forze armate alleate il 25 aprile 1945. Nel giugno del 1944, il sindacato viene ricostituito con il Patto di Roma unendo le principali correnti sindacali: comunista, democratica-cristiana e socialista.
Nel secondo dopoguerra comincia la battaglia per il Contratto collettivo nazionale, la cui stesura definitiva richiede un periodo di tempo molto lungo. Nel 1946 si svolge il IX Congresso e la Federazione italiana operai metallurgici diventa Federazione impiegati operai metallurgici raggiungendo 638.697 iscritti.
Nel 1948, la Fiom firma il primo Contratto ma solo nel 1956 tutte le sue parti trovano una loro definizione. Nel frattempo, nel sindacato italiano matura la crisi del patto costitutivo del ‘44 e delle alleanze politiche e culturali da esso scaturite; si consuma la divisione che porta alla scissione di una parte della Cgil: nel 1948 nasce la Cisl e nel 1950 la Uil. Lo scontro politico-sindacale in quegli anni è molto duro, si punta a isolare la Cgil e in particolare la Fiom. In questo clima, nel1955, nelle elezioni della Commissione interna alla Fiat (la più grande e importante fabbrica italiana) la Fiom subisce una sconfitta. Nell’arco di un anno la Fiom perde una parte considerevole dei propri iscritti.
In Italia la democrazia è ancora fragile, e molti sono i momenti di crisi e i tentativi reazionari che si susseguono negli anni Cinquanta e Sessanta. Con il Contratto nazionale del 1962 (aziende pubbliche) e del 1963 (aziende private), dopo mesi di lotta, viene considerata la voce contrattazione articolata che si aggiunge a quella nazionale.
Lo sviluppo economico dell’Italia raggiunge punte alte negli anni Sessanta ma permangono diseguaglianze strutturali nelle diverse regioni del paese. La Fiom , attraverso una campagna nelle fabbriche e nelterritorio, torna ad accrescere il proprio consenso. A partire dal 1968, le battaglie dei metalmeccanici si incontrano con altri soggetti sociali: in primo luogo, con il movimento degli studenti ma ancora più con quello delle donne che negli anni Settanta svilupperà battaglie autonome fuori e dentro il sindacato. La fine degli anni Sessanta è segnata da un periodo di stragi, complotti e terrorismo (la cosiddetta “strategia della tensione”) che durerà fino alla metà degli anni Ottanta, e sul quale permangono pesanti zone d’ombra. La Commissione internaviene sostituita all’interno degli stabilimenti dalla struttura Consiglio di fabbrica.
Il 1969 è l’anno dell’autunno caldo, così chiamato perché in quella stagione si tengono grandi lotte che si concludono con una grande manifestazione nazionale dei metalmeccanici il 28 novembre, a Roma.
A dicembre viene firmato il contratto nazionale. I risultati più importanti: aumenti salariali uguali per tutti, riduzione a 40 ore dell’orario di lavoro a parità di salario, riconoscimento del diritto di assemblea in fabbrica durante l’orario di lavoro, riconoscimento dei rappresentanti sindacali aziendali.
Il periodo delle lotte operaie non si esaurisce: nel 1972 le organizzazioni metalmeccaniche Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil si uniscono nella Federazione lavoratori metalmeccanici (Flm). Nel 1973 viene firmato un altro importante contratto nazionale in cui si ottengono l’inquadramento unico operai-impiegati su 7 livelli, aumenti salariali uguali per tutti, il riconoscimento del diritto allo studio retribuito (le famose 150 ore), 4 settimane di ferie.
Nei rinnovi successivi prende forma la prima parte del Contratto, quella relativa ai diritti di informazione sui programmi di investimento e sulle politiche occupazionali delle imprese. Lo spazio negoziale diviene più ampio, aumentano le materie contrattuali così come l’incidenza del sindacato in fabbrica.
Dalla seconda metà degli anni Settanta si sviluppa una nuova offensiva padronale tendente a ripristinare condizioni di primato assoluto nelle imprese. Ancora una volta banco di prova è la Fiat che, nel 1980, annuncia 14.469 licenziamenti incontrando una dura opposizione operaia che si concretizza in 35 giorni di lotta dura. Per la prima volta in Italia gli impiegati e i capi di una fabbrica si organizzano contro gli operai e tengono una manifestazione a Torino di 20.000 persone. La conclusione della vertenza (23.000 lavoratori in Cassa integrazione) apre una fase incerta e difensiva del sindacato. Essa rappresenta una sconfitta del movimento sindacale che oltrepassa i confini della Fiat e che ancora oggi rappresenta motivo di dibattito e di riflessione.
Gli imprenditori, utilizzando le grandi ristrutturazioni e una fase politica e sociale favorevole, vogliono attaccare le conquiste degli anni Settanta. Nel 1984 la Flm si scioglie e nello stesso anno le lavoratrici e i lavoratori perdono la contingenza, il meccanismo che permette di adeguare automaticamente i salari agli aumenti del costo della vita. In quegli anni i Consigli di fabbrica entrano in crisi come struttura di rappresentanza.
La crisi e le ristrutturazioni degli anni Ottanta hanno modificato la struttura industriale italiana. Crescono le piccole e medie imprese e anche quelle dell’artigianato. Aumentano gli infortuni sul lavoro. Intere aree industriali delle grandi città scompaiono e questo provoca una lenta ma inesorabile diminuzione degli iscritti al sindacato. Nel 1993 viene firmato dai sindacati, dagli imprenditori e dal governo un accordo in cui vengono definiti nuovi assetti contrattuali che individuano soluzioni per la dinamica degli incrementi salariali e vengono ribaditi i due livelli di contrattazione: quello nazionale e quello aziendale. Nell’accordo trova conferma la legittimazione a negoziare nel secondo livello, quello aziendale, della Rappresentanza sindacale unitaria struttura di fabbrica, che sostituisce il Consiglio di fabbrica. Ma gli imprenditori sono intenzionati aottenere l’eliminazione del Contratto nazionale e un rapporto di lavoro basato su relazioni individuali a totale discrezione delle imprese.
Nelle trattative contrattuali successive, dal 1994 a quella in corso attualmente, la battaglia continua a essere principalmente quella per il mantenimento dei due livelli contrattuali nazionale e aziendale.
Nel 2004 la Fiom ha contato 363.326 iscritti.